Spiritualità
MONASTERO CAMALDOLESE DI S.CROCE DI FONTE AVELLANA
Il Monastero camaldolese di S. Croce di Fonte Avellana è la vera perla delle Alte Marche. Conosciuto in tutta Europa, questo tempio dello spirito gode anche della fama immortale che gli ha conferito Dante Alighieri inserendolo nel XXI canto del Paradiso.
Il Monastero è situato alle pendici boscose del monte Catria (1701 m.) nel Comune di Serra Sant’Abbondio e le sue origini si collocano alla fine del X secolo quando alcuni eremiti decisero di costruire le prime celle di un eremo che nel corso dei secoli diventerà l’attuale monastero. La spiritualità di questi eremiti fu influenzata da S. Romualdo di Ravenna, padre della Congregazione benedettina camaldolese, che visse e operò fra il X e l’XI secolo in zone molto vicine a Fonte Avellana quali Sitria, il monte Petrano e S. Vincenzo al Furlo. Molte delle consuetudini eremitiche avellanite erano pressoché identiche a quelle in uso all’Eremo di Camaldoli e in altri luoghi romualdini ed anche la Regula vitae eremiticae, scritta da S. Pier Damiani per Fonte Avellana, ha molti elementi in comune con le Constitutiones del Beato Rodolfo, IV priore di Camaldoli. Lo sviluppo di Fonte Avellana iniziò proprio con S. Pier Damiani, alla cui forte personalità si devono non solo il nucleo originario della costruzione, ma più ancora l’impulso spirituale, culturale e organizzativo che resero l’eremo centro d’attrazione e di diffusione della vita monastica e che influirono fortemente sulla riforma religiosa e sulla vita sociale. Grazie a questa figura eccezionale, il monachesimo avellanita e camaldolese ha potuto presentarsi nella sua storia pluricentenaria come esperienza qualificata del cristianesimo: qui si formarono circa cinquanta vescovi e un folto stuolo di monaci noti per santità e dottrina. Una tradizione costante e molto antica, tramandata dagli Annales Camaldulenses, narra di Dante Alighieri che, ospite di Bosone di Gubbio, nel 1318 pare avrebbe fatto visita a Fonte Avellana.
Il Sommo Poeta così cantò nella Divina Commedia:
“Tra due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che i troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria”
Eletta abbazia nel 1325, Fonte Avellana divenne una potenza socio-economica e di lì a poco conobbe la pratica delle commende (XIV – XV sec.). La commenda consisteva nell’affidamento dei benefici o dei beni di proprietà di un monastero o di un’abbazia a persone estranee, per lo più di alto rango ecclesiastico o civile, al solo scopo di far la fortuna di queste. Fonte Avellana restò commendata fino a quasi tutto il 1700 e, anche se ebbe dei commendatari come il Card. Giuliano della Rovere (poi papa Giulio II) che lasciarono segni di carattere edilizio ed abbellimenti del tutto degni di nota, risentì profondamente degli inevitabili condizionamenti, motivo per cui la decadenza della sua vita monastica, anche se lenta, fu inesorabile. Tale declino si concluse con la soppressione napoleonica del 1810 e di lì a poco quella italiana del 1866. Fonte Avellana, tuttavia, ha continuato a vivere come alimentata da una sorgente interiore ed oggi, tornata ai monaci camaldolesi, ha ritrovato oltre alla bellezza austera delle sue strutture architettoniche, ormai interamente riportate al fascino primitivo, anche quella fede e quella cultura che l’hanno contraddistinta fin dalle sue origini. Oggi il Monastero camaldolese di S. Croce di Fonte Avellana rappresenta un vivace centro di attività spirituali e culturali: è meta di turisti provenienti da tutte le parti di Italia e d’Europa che vengono per ammirare la bellezza delle sue stanze e dei suoi panorami mozzafiato, nonché per raccogliersi in momenti di riflessione, preghiera e meditazione. Riposare nella sua foresteria, mangiare nel suo refettorio, visitare la sua sterminata biblioteca o il suo ancestrale scriptorium, sono esperienze che arricchiscono il corpo, la mente e l’anima, rappresentando a pieno lo spirito delle Alte Marche, il cuore accogliente dell’Appennino.
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